martedì 15 maggio 2012

Dalle pianure alla zona cafetera della Colombia


IL FESTIVAL IBEROAMERICANO DI TEATRO A BOGOTÁ

All'inizio di aprile la Banana è scesa da una catena montuosa per salire su un'altra e arrivare così a Bogotá; non solo era la settimana di Pasqua ma anche la settimana del Festival Iberoamericano di Teatro, attualmente la rassegna di teatro più grande del mondo. William, un amico che avevamo conosciuto a Cartagena, anche lui nato a clowlandia, ci aspettava all'entrata della capitale per condurci al teatro El Contrabajo, dove Hector ci aspettava per darci alloggio.

El Contrabajo merita un applauso non solo per averci accolto con grande ospitalità ma anche per il suo impegno sociale ed artistico. É una sala di teatro concertata (cioè riceve un finanziamento da parte dello stato colombiano) che si trova nella zona Bosa La Despensa, nell'estrema periferia sud di Bogotá. La cosa più bella di questo teatro è che sorge in un quartiere popolare tra i più poveri, fa un gran lavoro con i ragazzi della zona ed ogni sabato la gente bussa alla porta per chiedere che cosa c'è in programma. La domenica di Pasqua abbiamo partecipato in una animazione in questo quartiere . Un applauso per Hector e Hernann!

Grazie a questo contatto Massi e io abbiamo potuto guardare Bogotá dalla sua periferia sud, che è tutta un'altra cosa che conoscerla dal suo centro. Il primo giorno che ho preso l'autobus mi sono persa, ho sventato un borseggiatore, mi hanno schiacciata come una sardina nel bus all'ora di punta e sono morta di freddo. Mi sono arrabbiata con la città anche se lei non ha colpa. Lei è così: un mostro pianificato.

Di primo acchito Bogotá non rimane affatto simpatica ma non ci restava altro che approfittare delle cose positive: Massi ed Ana si sono iscritti a dei corsi di recitazione, abbiamo visto varie opere di teatro, il concerto di Manu Chao nella Piazza Bolivar e lo spettacolo di chiusura del Festival Iberoamericano dedicato al tango.

Una delle cose più belle è stata ritrovare vari amici e amiche del cammino: a parte William, abbiamo rivisto Erika, una viaggiatrice argentina che avevamo conosciuto a Cartagena; Serena, una fotografa italiana sorridente e sognatrice, anche lei conosciuta a Cartagena; Aquiles il brasiliano sosia di Jovanotti con cui abbiamo convissuto dei giorni indimenticabili a San Cristobal (Messico) è comparso tra la folla del concerto di Manu Chao; ho passato una giornata con Ivon e Cami le sbarbine conosciute nel deserto della Guajura e Adriana (vedere capitolo su Medellin).

L'ultimo giorno, prima di partire per Villavicencio, abbiamo organizzato una spaghettata nel Teatro con questi amici: gli spaghetti erano scotti e senza sugo ma il pranzo è stato un successo e si è trasformato in una festa di matti.



UNA FAMIGLIA “NORMALE” 

Siamo arrivato a Villavicencio, al sud est di Bogotá in una zona di pianure e pascoli sterminati. Siamo approdati alla casa di Claudia e Henry, sorella e cognato di Adriana (vedere sempre il capitolo Medellín). Entrambi dentisti ci hanno regalato una revisione e pulizia generale!




A Villavicencio abbiamo battuto vari record:
Maggior numero di spettacoli in una settimana: 10 in appena cinque giorni. Abbiamo dovuto fare anche tre spettacoli al giorno e dire di no ad alcune scuole.
Record di pubblico: abbiamo fatto uno spettacolo con 950 bambini!

Con un ritmo del genere, andavamo a dormire morti di stanchezza ma completamente soddisfatti. Nei momenti di riposo abbiamo condiviso la vita quotidiana di Claudia ed Henry, di suo figlio Juanes, della sua domestica Maria e del loro gruppo di amici e familiare. Abbiamo preparato piatti vegetariani, facevamo il bagno nella piscina della loro villetta, giocavamo a ping-pong, siamo andati a fare una escursione al fiume, siamo stati invitati a cenare a casa di amici, ci siamo fatti fare pure i massaggi a domicilio e abbiamo dovuto sottometterci a un paio di serate di karaoke.  Nel frattempo scoprivamo i retroscena della loro vita coniugale: una insalata di frustrazioni, relazioni extraconiugali e videogiochi che fungono da baby-sitter.  Senza dubbio, la Banana ha regalato dieci giorni di allegria e pazzia a questa famiglia troppo “normale”.




LA LINEA COLOMBIANA
La linea colombiana può essere molto pericolosa. Nessun doppio senso, non sto parlando della coca. “La linea” è il nome di una strada tutta curva, precipizi e camion, una delle più pericolose della Colombia. E giusto lì, la Banana fa i capricci! Per fortuna, come dice Ana, la narice rossa che portiamo sul muso ci garantisce sempre buona fortuna e non succede nulla di grave.
Ma le avventure della giornata non erano ancora finite.
Due minuti dopo stavano arrivando due meccanici in motocicletta: nella linea ci sono tanti incidenti che ai meccanici non conviene aprire una officina ma vanno su e giù per la strada in cerca di clienti freschi. I sue compari smontano e montano, fanno e disfano, vanno e tornano e alla fine ci presentano una fattura di 68.000 pesos per un pezzo nuovo e 80.000 di mano d'opera (in totale 75 euro). Ma i due personaggi non ci convincevano per niente, così Ana e io siamo partite da investigatrici speciali per rintracciare il negozio della fattura e scoprire che il pezzo (era una guarnizione) costava appena 5.000 . La fattura era falsa. Parte la discussione con i meccanici e alla fine siamo ripartiti senza pagare niente.

Quella stessa sera siamo arrivati a Salento, un paesino coloniale circondato da montagne boscose e coltivazioni di caffè. Ci sentivamo contenti, sentivamo come una strana eccitazione sotto la pelle e così siamo andati a festeggiare con una cena di pesce al ristorante: in fondo ci avevano riparato il furgone gratis!

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LE MONTAGNE DEL CAFÉ 

A Salento avevamo il contatto di un certo Enrique, come sempre un amico di una amico, che però non ci ha mai risposto al cellulare. In paese alcuni dicono che si morto, altri che non sia mai esistito. Comunque in quella serata piovosa si avvicina un'auto: “Ciao, tutto bene?”Così abbiamo conosciuto Allan e Mauricio che dapprima iniziano a fare mille telefonate per rintracciare il famoso Enrique poi, senza esitare un secondo, ci invitano a fermarci nella loro casa di campagna. Un'altra dimostrazione della solidarietà e accoglienza della gente colombiana. Allan è un uomo di 55 anni, coi i baffetti neri e la faccia paonazza, sembra che il sangue gli circoli troppo velocemente dentro alle vene. E' un gran festaiolo, ballerino di salsa e rock, sempre allegro, ha sempre un aneddoto da raccontare e per lui è sempre il momento per un bersi un buon brandy. Mauri è il suo operaio instancabile e compagno di scorribande, ha un cuore così grande che gli esce dal petto.


ANA CONTRO MIGRAZIONE, ULTIMO CAPITOLO. 

Giusto in quei giorni arriva la risposta del ricorso che aveva mosso Ana nei confronti di migrazione: appello rifiutato! Ana ha pochi giorni di tempo per lasciare il paese cioè si deve auto-deportare. Nell'ufficio, dopo un'attesa interminabile, un impiegato le offre di comprarle il comprovante del pagamento della tassa che aveva pagato per il rinnovo, che poi noi le é stato concesso.
Non sapevo che si poteva vendere – dice Ana.
Ti voglio aiutare – risponde il funzionario e gli allunga un biglietto da 50.000 pesos (25 euro).

Ma sull'autobus Ana usa la banconota per pagare il biglietto e... si accorge che è falsa!!!
Immaginatevi la faccia di Ana dopo questo ennesimo abuso. Il giorno dopo ritorna in ufficio e mette un'altra denuncia all'impiegato per traffico illegale di documenti e per spaccio di denaro falso. Grande Ana! Convocano immediatamente tutti gli impiegati, arriva una loro superiore da Pereira e non sappiamo altro. A Ana danno il foglio di via per auto-deportarsi e lei si compra un biglietto per Ipiales, la frontiera con l'Ecuador.

Così si chiude questo penoso capitolo sulla perversa e corrotta burocrazia colombiana.

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ARRIVEDERCI ANA!

Allans si mette a fare telefonate e poi dichiara:“ Ana avrà una bella festa di addio”. Ed effettivamente è stata una bella festa, sì signore, abbiamo ballato, brindato e scattato foto con un branco di amici improvvisati fino a quando il corpo ci ha detto basta.

Il giorno dopo abbiamo accompagnato Ana alla stazione degli autobus. La rivedremo tra poche settimane in Ecuador però ci siamo commossi lo stesso. Stiamo viaggiando insieme da quasi un anno e la sua presenza è diventata essenziale come respirare o fare benzina nella Banana. Massi ed io siamo tornati a Salento senza scambiarci quasi parola.

Con Ana abbiamo condiviso tutto ciò che c'è dentro la Banana dal cuscino alle forchette, dal pettine alle scarpe. Di notte ci siamo contese il lenzuolo e di mattina ci siamo raccontate i sogni. Abbiamo condiviso l'aria, il tempo e lo spazio, siamo state così vicine che ci siamo contagiate delle reciproche  emozioni e così la risata di una diventava la risa irrefrenabile di tutta la Banana e la tristezza di una diveniva tristezza collettiva.


Giorno dopo giorno siamo finite per assomigliarci, Ana ha imparato a fare la pasta fatta a mano e noi a servire il mate, lei a bere il caffè espresso e noi a insultare in argentino.  Insieme abbiamo gridato di fronte ai delfini di Puerto Escondido, abbiamo fatto l'aperitivo alla Banca Centrale del Nicaragua, abbiamo visto la morte in faccia in Honduras, ci siamo perse nel traffico di Città del Messico e Bogotá e in tutti i posti abbiamo fatto ridere migliaia di bambini. E sempre insieme abbiamo preso decisioni importanti come quella di non mangiare carne o di dipingerci le unghie di viola nel mercato di San Salvador. Ma più in là di tutto ciò che abbiamo detto, fatto e disfatto credo che la cosa più importante sia ciò che siamo state l'una per l'altra (e nonostante il femminile includo Massi): compagne di un sogno, del meraviglioso presente che stavamo vivendo.

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