sabato 21 aprile 2012

UNA CITTÁ DI NOME ADRIANA


 Siamo stati tre settimane a Medellín ma, pensandoci bene, siamo stati tre settimane in una cittá di nome Adriana. 

Adriana è una donna magica che cammina sicura sul filo dei suoi sogni bagnati dal canto della sua voce e del teatro. Adriana è una sorella che sa tutto di noi e trovarla durante il viaggio ci ha regalato il profumo dei ricordi, la fragranza dell'affetto e il calore del ritorno a casa.

Adriana non era piú la stessa che avevamo conosciuto qualche anno fa in El Salvador. I suoi capelli ora sono corti e pieni di fili di argento, il suo corpo è stato intagliato da un viaggio di un anno per l'America Latina e la pelle sembrava piú giovane. E' una maestra di quello che ogni donna e ogni uomo potrebbe divenire per quel suo ostinato impegno ad essere felice.

Un pó di foto della casa di montagna di Adriana:





Tutto quanto ci ha offerto Medellin è stato attraverso di lei: il vino buono, il letto comodo, la vista sul bosco, il silenzio della montagna, l'abbraccio dei suoi genitori, il canto delle donne rifugiate, le serate urbane e quelle a osservare la luna. 

Nella sua casa in montagna a La Ceja abbiamo salutato Marìa La Negra, che ci ha accompagnato in questa tappa colombiana per tre mesi e abbiamo reincontrato due sorelle: Alessia, detta La Reina, amica dei tempi di Esmeraldas e Gloria, collega e amiga colombiana, conosciuta in El Salvador.

María La Negra:


Con Gloria y Adriana:

Alessia, La Reina con la Banana:


Adriana ci ha aperto l'abbraccio dei suoi genitori, Consuelo e Humberto, ci ha fatto coccolare dalle sue amiche, ci ha fatto da manager con l'opera di teatro e da guida turistica per Medellín. 

Adriana ha viaggiato e sa che cosa fa felice un viaggiatore. E ha imparato che la vita è il presente, che i viaggiatori passano e se en vanno, che hai che godere al massimo di ogni minuto che possiamo condividere. Niente a Medellin sarebbe stato lo stesso senza di lei. 

Grazie Adriana!

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Alcune degli spettacoli di teatro nelle scuole rurali di La Ceja:









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MEDELLÍN

Medellin è una specie di altalena tra quello che è e quello che vorrebbe essere.
Da un lato c`é il Metrocable: moderno, inedito, pulito e ordinato come neanche l'entrata di casa di mia madre. 

E' una funivia a 8 posti che invece di salire sulle piste da sci delle Dolomiti collega il centro della cittá con le favelas ai margini della cittá. Si sorvolano tetti e case delle periferie che poco a poco perdono colore e consistenza e mano a mano che si avanza divengono baracche provvisorie e pericolanti, aggrappate le une alle altre ai margini delle montagne che circondano Medellin. 

Il Metrocable, inaugurato appena due anni fa, ti da una panoramica in volo della povertá, della miseria in cui vivono soprattutto i rifugiati e ti ricorda che in Colombia esiste un conflitto, una guerra inutile che dura da 40 anni, che ogni giorno continuano a arrivare dei rifugiati che occupano i terreni che trovano con materiali di fortuna; ti permette di sbirciare fin dentro alle singole baracche in modo quasi pornografico: la signora che fuma in balcone con i bigodini in testa, le mutande strappate appese in terrazza, il cane che prende una bastonata da un adolescente.



E infine dall'alto del Metrocable ricevi una visione d'insieme della metropoli, una vertigine urbana che percorre le montagne come un cancro, migliaia, milioni di case e baracche, mattoni e lamiere incastonate in un mosaico che sembra un'orgia.

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LA CULTURA METRO

Medellín vorrebbe essere come il suo metro che attraversa decorosamente la cittá mentre una voce pre-registrata, morbida e mielosa come zucchero filato, diffonde “i dieci principi della cultura metro”. 

 Il metro dice: “Se starnutisci, copriti la bocca con la mano: nel metro amiamo il rispetto reciproco!” che, detto in un paese in cui la guerra ha fatto migliaia di vittime, francamente suona un pó grottesco.

Alla fermata seguente il metro spara “Sorridi! Non aver paura di essere felice, ricorda che la vita va avanti!” e inizi a guardare le reazioni dei vicini, tutti ovviamente con un volto da funerale, pensando di essere vittima di una candid camera

 Poco dopo il metro sferza un altro colpo: “Vivi la tua vita in modo da non aver tempo di lamentarti e sarai perfettamente felice!” e ti rendi conto di essere dentro a un esperimento orwelliano di “ipnosi di massa”.

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Ma Medellín non è sempre quello che vorrebbe essere; Medellín è anche la casa di Rosemei, una delle tante afferrata alla periferia dello sviluppo, dove è arrivata incinta scappando dal Chocó per la guerra, con suo marito e due bambine piccole. Vivono una povertá che descrivere sarebbe fare una miserabile e deprimente lista. Povertá solamente economica perché Rosemei ha una forza d'animo che le pagherei tutto l'oro del mondo, ha una voce che sembra il fiume Madgalena con cui canta canzoni che lei stessa compone dedicandole alle sue radici africane, ha un marito buono come il pane e tre bambine che ballano come prese da un attacco di convulsioni appena si accende lo stereo, ha un potere magico con cui ci benedice. Passare una ora a casa sua è una lezione di dignitá e resistenza, un antidoto istantaneo contro ogni paranoia, ogni sega mentale con cui ci torturiamo inutilmente in mancanza di problemi reali.

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LOCOMBIA
(Alcune delle perversioni della Colombia).

Tanto per iniziare tutta la sua popolazione colombiana è divisa in sei strati sociali a seconda del salario e del tipo di casa: zero per gli indigenti senza tetto, sei per i milionari che vivono in mansioni. Ogni persona è bollata da un numero da zero a sei che pure sui documenti come la bolletta della luce e ti chiedono a che strato appartieni quando cerchano lavoro, chiedono un visto per l'estero o iscrivono i figli a scuola.

I quartieri periferici di Medellín sono pieni delle cosí dette “linee invisibili” che inghiottono la vita di chi le oltrepassa senza permesso. Si conoscono come “falsi positivi”, ragazzi innocenti fatti sparire, uccisi e poi mascherati da guerriglieri per poter ingrassare le statistiche dell'esercito in questa guerra assurda. I militari infatti ricevono promozioni, aumenti di salario e giorni di permesso ogni volta che uccidono un guerrigliero delle Farc... o almeno qualcuno travestito da guerrigliero.

E si puó continuare con i “desplazados” che la guerriglia, i paramilitari o l'esercito hanno obbligato a lasciare le proprie terre e a cui oggi si risponde con una controversa “legge di riparazione”: un pezzo di terra in cambio degli abusi e delle violenze ricevute.

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ANA BANANA CONTRO LO STATO COLOMBIANO

Nel nostro piccolo siamo venuti in contatto con una briciola di questa violenza di Stato quando Ana è andata a rinnovare il permesso di permanenza turistica nell'ufficio apposito. Ovviamente era andata nei tempi adeguati e con tutti i documenti richiesti tra i quali un pagamento di circa 40 dollari americani, fotocopie varie e fototessere su fondo azzurro. 

Ma lí si è sentita dire di essere illegale (o clandestina) da un mese e che aveva due opzioni: pagare una super multa o auto-deportarsi fuori dal paese entro 3 giorni. Ma come? Nel passaporto appariva chiaramente un permesso di permanenza turistica 90 giorni! Sí, il funzionario che l'ha ricevuta al suo arrivo in aeroporto gli ha scritto 90 giorni sul passaporto ma ha digitato 60 giorni nel computer. Una svista o un meccanismo premeditato per applicare multe ingiuste e ridere in faccia ai cittadini inermi? 

Ana, radicalmente intollerante con ogni tipo di abuso, peggio ancora se istituzionale, ha piantonato l'ufficio per tre giorni piangendo e difendendosi, sola di fronte a una schiera di facce dure di funzionari maschilisti e ben addestrati. Non sentivano ragioni: il numero che appariva nel loro schermo facevano di Ana una clandestina, questa è la legge ed è inappellabile. Appellarsi o mettere un avvocato é calarsi in una odissea costosa e inefficace. Ana ha deciso di farlo e siamo ancora in attesa che leggano il suo caso. Per non pagare una multa ingiusta ha deciso di auto-deportarsi e visto che c'è, sta approfittando della sua situazione di clandestinità per qualche settimana in piú.

Non ci consola affatto pensare che questo è solo una briciola degli abusi e la violenza che vive il popolo colombiano per mano dello Stato. Molte, moltissime persone lottano per il rispetto dei diritti umani in questo paese mentre il resto del mondo dipinge la Colombia come il paese della cocaina e della cuccagna.

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Sorprendentemente Medellín è una cittá che ti ripaga per lo sforzo che fai di sopportarla. Mi sembra di innamorarmi ogni dieci minuti, di uomini e donne indistintamente. Ci sono donne di una bellezza che è molto di piú di una condizione fisica, è un modo d'essere, di abbracciare la vita. Gli uomini non importa se indossano una camicia elegante o una maglietta sdrucita: hanno uno sguardo diretto e senza filtri che mi cattura ogni istante. Mi innamoro tutto il tempo di queste persone e penso che anche loro devono passare la vita ad innamorarsi gli uni degli altri.


 


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