sabato 27 marzo 2010

UN GIORNO PER MONSIGNOR ROMERO

Il 24 di marzo di 30 anni fa monsignor Oscar Romero veniva freddato sull’altare con un colpo al cuore, per le sue denuncie alle violenze del regime militare nel Salvador. Oggi i vinti sono diventati i vincitori ed il presidente Mauricio Funes ha reso omaggio alla sua figura con un decreto legislativo che dichiara il 24 di marzo “giorno nazionale di Romero”.

“Voglio fare un appello speciale agli uomini dell’esercito, soprattutto alle basi della guardia nazionale, della polizia, dei quartieri generali: fratelli, voi siete del nostro stesso popolo! State uccidendo i contadini, vostri fratelli! Di fronte all’ordine di uccidere dato un uomo, deve prevalere la Legge di Dio, che dice NON UCCIDERE!” fu l’omelia di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, il 23 di marzo del 1980. “Nel nome di Dio, vi supplico, vi chiedo, vi ordino: cessate la repressione!” gridava dal pulpito della Cattedrale. Il giorno successivo, un proiettile diretto al cuore mise a tacere quelle parole scomode, di condanna del regime militare e in difesa di un popolo inerme di fronte alle armi.

Erano tempi bui nel Salvador, il più piccolo paese dell’America Centrale: i guerriglieri si asserragliavano nelle montagne, coagulandosi intorno al FMLN, Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Martì; il Governo rispondeva con violenza, repressione, torture ed omicidi, attraverso i gruppi paramilitari conosciuti come gli “squadroni della morte”. Il vescovo Romero, simbolo incarnato di una Chiesa che non tace, sfidò la dittatura militare, denunciando gli abusi, invocando la pace e la giustizia, con la sua incessante “predilezione speciale per i poveri”.

Trenta anni dopo, la cappella della Divina Provvidenza è avvolta nel silenzio, in una tranquillità sospesa nel tempo. Quel giorno Romero doveva celebrare la Messa in questa piccola chiesa di San Salvador. “Le persone gli dissero di non farlo perché per imprudenza era stato annunciato sul giornale dove avrebbe celebrato la Messa e, visto che era perseguitato, sarebbe stato pericoloso” ricorda madre Luz Cueva, testimone dell’omicidio. “Quando Monsignor terminò l’omelia, si spostò al centro dell’altare ed abbassò gli occhi: in quel preciso istante lo colpì il proiettile che causò la sua morte”.

Poche ore dopo, per la capitale del paese centroamericano, correva la voce che Oscar Romero era stato assassinato da gruppi dell’estrema destra salvadoregna. Il paese cadde in una feroce guerra civile che durò 12 anni e provocò più di 75.000 vittime, soprattutto civili. Molti di quei delitti restarono impuniti e nonostante la Commissione della Verità confermò nel 1993 che il vescovo fu ammazzato per ordine del generale d’Aubuisson, fondatore di ARENA, il partito della destra salvadoregna, questi non venne mai processato. Al contrario, durante i 20 anni ininterrotti di governo, ARENA ha sminuito la figura di questo martire ed ha celebrato il suo assassino come un eroe nazionale.

Ma il messaggio di giustizia sociale di Romero “resuscitò nel popolo”, come lui stesso aveva preannunciato, ed oggi, il partito ex-guerrigliero FMLN, nel primo storico governo di sinistra, lo dichiara ufficialmente guida spirituale della nazione ed il 24 di marzo viene riconosciuto, con un decreto legislativo, come il giorno nazionale a lui dedicato. Mauricio Funes, nel primo discorso da Presidente eletto, affermò che si sarebbe lasciato guidare da quella “predilezione speciale per i poveri”, di ispirazione romeriana. “Onorare a Monsignor Romero ci obbliga ad un maggiore impegno per la causa dei poveri, degli esclusi e delle migliaia di salvadoregni che chiedono giustizia e verità” ha dichiarato il presidente, durante le celebrazioni per il trentesimo anniversario del martirio del “santo d’America”.

Funes ha, inoltre, chiesto nuovamente perdono per tutte le vittime del conflitto armato, un passo necessario per il paese, che aveva fatto della dimenticanza e dell’amnistia la fragile base del processo di riconciliazione, ci spiega Monsignor Rosa Chávez, vice arcivescovo di San Salvador: “Nella Chiesa c’è un lungo dibattito su come riconciliare un paese che ha vissuto la guerra. Si possono utilizzare parole come perdono e dimenticanza, come fece il presidente Cristiani nel Salvador o come si fece in Argentina: questa è la legge dell’amnistia. Oppure, si scopre la verità e si ripara facendo giustizia, come si è fatto in Cile. In Salvador siamo lontani da questo, non siamo ancora pronti a leggere questa pagina”.

In realtà Funes non dà ancora segnale di voler derogare la legge di amnistia per investigare l’omicidio di Monsignor Romero e degli altri crimini di lesa umanità commessi durante il conflitto armato. Settori sempre più ampli della popolazione rimproverano a Funes di non tradurre le sue parole in azioni e mettono in dubbio la “preferenza speciale per i poveri”. El Salvador sembra non riuscire ad uscire dalla spirale di violenza, con 4.365 omicidi registrati nel 2009, ed iniziare ad implementare le politiche necessarie a colmare le forti disparità sociali che persistono a 30 anni dalla morte di Romero.

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